Ritardata diagnosi.

La finalità dell’attività sanitaria è la tutela della salute e dell’integrità fisica. Nel fare ciò, come ampiamente spiegato in un precedente articolo, il medico deve ottenere il consenso del paziente fornendogli informazioni riguardo al trattamento sanitario ed eventuali rischi. Non rispettando gli obblighi informativi, il professionista cade nella c.d. colpa medica.

La diagnosi.

Già dal momento della diagnosi, il medico deve fornire tutte le informazioni e un quadro dei possibili sviluppi. Un atteggiamento contrario viene inquadrato dal nostro ordinamento come comportamento omissivo del medico. Si configura così la c.d. condotta negligente, vietata dal nostro ordinamento e dalle linee-guida del settore sanitario. 

Conseguenze della ritardata diagnosi.

Affinché il medico vengo ritenuto responsabile è necessario che il comportamento omissivo rappresenti la causa del pregiudizio subito del paziente. Giuridicamente parlando, tra la condotta negligente ed il danno subito deve sussistere il c.d. nesso causale. Questo esiste quando un evento ( il danno al paziente ) viene considerato causa di un altro evento ( la condotta negligente ),  cioè quando il primo evento non si sarebbe verificato in assenza del secondo. 

Un recente sviluppo.

 Con la sentenza n. 8461 del 27 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio che vige nel processo civile e che va tenuto in considerazione nel momento in cui si quantifica il risarcimento del danno. Stiamo parlando del principio del “più probabile che non”. In base a questo principio, la rilevanza del danno va analizzata alla luce non solo del minor tempo vissuto ma anche della perdita delle maggiori possibilità di sopravvivenza. Ovviamente, per danno non si intende solo l’evento morte ma anche tutte le conseguenze negative derivanti.

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