Cos’è il mobbing e differenze con lo straining.
Cos’è il mobbing? Secondo una delle massime più recenti, il mobbing è “ogni ipotesi di pratiche vessatorie, poste in essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro”. Ciò che caratterizza questo reato è la continuità delle azioni vessatorie dirette, la maggior parte, ad indurre il lavoratore a dimettersi. Senza il carattere della continuità è difficile che venga riconosciuto il mobbing, ma non per questo rimaniamo scoperti dal ventaglio della tutela del nostro ordinamento. Infatti, più recentemente, è stata introdotta la figura dello “straining”, altrimenti detto stress forzato.
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Cos’è il mobbing.
Questa espressione indica tutti quei comportamenti violenti, da parte di superiori o colleghi, nei confronti del lavoratore per un periodo prolungato. Parliamo di:
- demansionamento immotivato;
- diffamazioni, pressioni o molestie psicologiche (che arrivano ad essere anche fisiche);
- discriminazioni e denigrazioni.
E la lista potrebbe continuare per un bel pò.
Il mobbing, se adeguatamente provato, può sfociare nei reati di ingiuria, di diffamazione o, nei casi in cui i comportamenti abbiano determinato una propensione al suicidio, di omicidio colposo.
Lo straining come “mobbing attenuato”.
Esso viene individuato in quelle ipotesi in cui un superiore induce un lavoratore in uno stato di stress, con intento discriminatorio. Tuttavia, non sempre i giudici riconoscono questa figura. In una controversia, addirittura il Ministero portò avanti l’idea secondo cui lo straining fosse una categoria lungi dall’essere riconosciuta, la cui incertezza esisteva già nella medicina legale (scopri cos’è la medicina legale qui). Aggiunse che, esclusa la continuità dei comportamenti vessatori, non vi fosse spazio per alcuna tutela. La Corte di Cassazione, invece, intervenne definendo lo straining “mobbing attenuato” e collegando ad esso la responsabilità del datore di lavoro, tramite una rilettura estensiva dell’art. 2087 c.c. Grazie a questo articolo, dedicato alla “prevenzione antinfortunistica in senso stretto” (obbligo del datore), la Corte afferma che il datore ha il dovere di “impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona”.
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