Elusione fiscale e abuso del diritto: l’art. 10bis e la nuova tutela del contribuente
Scegliendo una o più operazioni rispetto ad altre si possono ottenere vantaggi fiscali. Ma quando si può parlare di “abuso del diritto” o “elusione fiscale”? In questo articolo parliamo delle due figure e di come siano state unificate e disciplinate dal recente art. 10bis dello Statuto del Contribuente.
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Definizioni di abuso del diritto ed elusione fiscale
Oggi trattiamo un tema di particolare rilevanza nel diritto tributario, in particolare per per il contribuente. In passato infatti, il contribuente era in posizione non solo di svantaggio ma di vera e propria impossibilità di sapere quando e come l’Agenzia delle Entrate si sarebbe mossa. Ma andiamo con ordine, osservando le definizioni allora vigenti per le figure di abuso del diritto ed elusione fiscale.
Con l’abuso del diritto, secondo una definizione ormai pacifica in dottrina e giurisprudenza, si intende “l’esercizio di un diritto volto al perseguimento di finalità diverse rispetto all’ interesse tutelato dall’ ordinamento”.
Per quanto riguarda invece l’elusione fiscale, L’art. 37 bis del d.p.r. 600/1973 dava una definizione leggermente diversa ma sostanzialmente simile. Si configuravano come elusione fiscale quegli “atti, fatti e negozi privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi e divieti dell’ordinamento tributario”. Il fine di questi atti era quello di ”ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
Si tratta di formulazioni non troppo diverse e comunque troppo generiche, in un ambito, quello fiscale, nel quale non dovrebbe essere lasciato spazio a incertezze. Nella mancanza di precisione, infatti, l’amministrazione fiscale si è in passato posta in una posizione di strapotere nei confronti del contribuente. Quando infatti un caso concreto non rientrava nella figura dell’elusione fiscale, si faceva ricorso all’abuso in maniera indiscriminata, tanto da far parlare di “abuso dell’abuso”
Le indicazioni dell’Unione Europea
Già nella famosa sentenza Halifax (ECJ c 255/02) del 2006 la Corte di Giustizia dell’UE cercava di arginare il fenomeno dando indicazioni ai giudici nazionali.
Ma è soltanto con la Raccomandazione del 6 dicembre 2012 sulla pianificazione fiscale aggressiva che l’UE ha “bacchettato” gli Stati membri. Il par. 74 precisa infatti che si può parlare di abuso solo nel caso in cui l’atto “contrasti con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili”
Si tratta di una precisazione importante, come vedremo a breve, accolta nel nostro ordinamento. L’abuso/ elusione sussiste infatti solo laddove sia violata la ratio delle norme o dei principi generali dell’ordinamento. Quello che viene detto agli Stati membri, in sostanza, è di porre attenzione a distinguere il vantaggio fiscale indebito dal legittimo risparmio d’imposta. Indicazione riconfermata anche dalla Direttiva 2016/1164 del 12 luglio 2016.
Art. 10bis: un’unica definizione come tutela per il contribuente
Il legislatore italiano è intervenuto con il d.lgs. n. 128 del 2015, il quale ha introdotto l’art. 10bis nella legge 212 del 2000 , accogliendo le indicazioni dell’UE. È significativo che la nuova disposizione si trovi nella legge denominata “Statuto del Contribuente”. Più che un’arma in mano all’amministrazione fiscale, il legislatore da importanza alla libertà del contribuente di perseguire i propri scopi, sempre nei limiti della legittimità.
Attraverso la nuova disposizione viene finalmente operata l’identificazione dell’elusione fiscale con l’abuso del diritto, eliminando l’ambiguità preesistente. Le due figure sono ora riunite in un’unica clausola generale. Il comma 1, in particolare, è formulato attenendosi alle indicazioni della Raccomandazione del 6 dicembre 2012:
“Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi(…)”
Si identificano finalmente in maniera chiara i tre presupposti per poter parlare di abuso:
L’assenza di sostanza economica dell’operazione effettuata; si tratta della non idoneità “a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali” (comma 2 lett.a)
L’ottenimento di un vantaggio fiscale indebito; si tratta dei “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario” (comma 2 lett. B, che accoglie fedelmente l’indicazione della Raccomandazione UE)
La circostanza che il vantaggio sia l’effetto essenziale dell’operazione; sul punto occorre dedicare però una trattazione più specifica (soprattutto in relazione a quanto previsto dal comma 3)
Le valide ragioni extrafiscali: esclusione dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale
Il comma 3 rappresenta la novità più dirompente nella nuova disciplina: esso prevede infatti che sono lecite e “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali”. Si tratta di una novità importante poiché riconosce che non tutte le operazioni che ottengono un vantaggio fiscale sono abusive, al contrario di quanto alcuni ritenevano in passato.
Allo stesso tempo, si precisa che esse non devono essere “marginali”. È infatti possibile che nell’ambito della medesima operazione vi siano ragioni fiscali ed extrafiscali. Per determinare la non marginalità, la Relazione Illustrativa afferma che bisogni guardare “all’intrinseca valenza di tali ragioni rispetto al compimento dell’operazione… (le valide ragioni) sussistono solo se l’operazione non sarebbe stata posta in essere in loro assenza”
Il comma 3 prosegue dando degli esempi, ricomprendendo “(le ragioni) di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”.
L’introduzione delle “valide ragioni extrafiscali” come causa di legittimazione è certamente uno strumento in più per la tutela delle ragioni del contribuente. Tuttavia, non si può tacere che spesso esse pongono il problema della distinzione dalla “sostanza economica” dell’operazione di cui al comma 1. Problema ben identificato da Assonime con la circolare n.21 del 2016 che evidenzia il rischio che i due concetti siano sostanzialmente coincidenti (par 2.7).
È ben possibile che il contribuente, che secondo il comma 9 ha l’onere dimostrare l’esistenza di queste “valide ragioni exrafiscali”, si trovi in una situazione di incertezza. Si tratta di una questione ancora attuale, che solo i giudici o un ulteriore intervento normativo potranno risolvere.
La libertà di scelta del contribuente
L’obiettivo di eliminare l’incertezza e tutelare il contribuente traspare in diversi punti, in particolare nel comma 4 dell’art. 10 bis. Il nuovo testo enuncia infatti che “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.
Il fatto che il legislatore si sia soffermato su un concetto apparentemente evidente indica quanto fosse critica la situazione precedente. Tale libertà è stata infatti limitata in passato dalla prassi dell’amministrazione finanziaria e da alcune pronunce della giurisprudenza. La relazione illustrativa al decreto richiama il caso del contribuente che per estinguere la società procede alla fusione anziché alla liquidazione; nessuna disposizione tributaria mostra preferenza per l’una o l’altra operazione, rendendo legittime entrambe le scelte.
La Raccomandazione UE del 2012 pone l’accento su tale libertà, quando afferma al paragrafo 4.5 la liceità della “via meno onerosa fiscalmente”. Allo stesso modo, la Direttiva 2016/1164 afferma che il “contribuente dovrebbe avere il diritto di scegliere la struttura più vantaggiosa dal punto di vista fiscale”.
Un’ulteriore tutela di questa libertà è offerta dal comma 5. Con esso si offre la possibilità di proporre interpello per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto.
Il procedimento e la richiesta di chiarimenti
Per concludere, l’art. 10bis dispone anche per quanto riguarda il procedimento. Il comma 6, innanzitutto, prevede che:
“Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, appena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di 60 giorni in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto”
Con questa disposizione vengono inserite molte novità, fra le quali la più importante è certamente l’inserimento della richiesta di chiarimenti nel procedimento. L’inserimento di questa forma di contraddittorio permette infatti che il contribuente possa far valere le proprie ragioni prima del provvedimento di accertamento. Tale richiesta dovrà essere notificata tempestivamente (il comma 7 ne approfondisce le modalità) e soprattutto essere motivata adeguatamente.
Questo obbligo di motivazione in capo all’amministrazione costituisce un forte presidio a difesa dei diritti del contribuente in fase di accertamento. E dopo il provvedimento di accertamento dell’abuso, questo obbligo si intensifica, prevedendo nel comma 8 che vi sia una motivazione c.d. “rafforzata” che tenga conto anche delle risposte fornite al contribuente, a pena di nullità.
Ulteriore precisazione è quella contenuta nel comma 9, per la quale l’abuso del diritto “non è rilevabile d’ufficio”. Essa può apparire superflua ma è purtroppo dovuta, considerando certe pronunce. In passato la giurisprudenza, ad esempio le “tre sentenze di Natale” della Corte di Cassazione (nn. 30.055, 30.056 e 30.057 del 23 Dicembre 2008), riconoscevano invece la rilevabilità d’ufficio.
Ultime tutele per il contribuente: rimborso e depenalizzazione
Il procedimento, per come visto sopra, offre molte opportunità di contestazione dell’operato dell’amministrazione fiscale, concludendosi in non pochi casi con un provvedimento favorevole al contribuente. Tuttavia, spesso è necessario che quest’ultimo paghi quanto richiesto dall’Agenzia delle entrate. Ebbene, entro un anno dal provvedimento, il contribuente può richiedere il rimborso delle imposte pagate (inclusi interessi), come previsto dal comma 11.
Infine il comma 13 stabilisce che “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”. Vengono dunque chiaramente depenalizzate le condotte abusive, al contrario di quanto affermato da alcune pronunce (si vedano le sentenze della Cassazione penale nn. 19.100 del 2013, 33.187 del 2013 e 15.186 del 2014). Unica eccezione si ha se assieme a tali condotte vengono commessi altri reati, i quali prevedono l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art 331 c.p.p.. L’effetto principale, oltre all’eventuale apertura di un procedimento penale, è quello di raddoppiare i termini per l’accertamento dell’abuso (art. 43 del D.P.R. 600 del 1973)
Conclusioni
La nuova disciplina dell’elusione fiscale e abuso del diritto (ora unificati) mandano un importante messaggio all’amministrazione fiscale ed ai giudici. Una o più operazioni non sono illegittime solo perché realizzano vantaggi fiscali, poiché spesso altri motivi muovono il contribuente a compiere determinate scelte. La sua libertà, entro nuovi determinati limiti, è più ampia di quanto ritenuto in passato ed egli ha più opzioni per realizzare i propri obiettivi.
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